Il tempo è il principio medesimo dell’Io=Io dell’autocoscienza. Tutto, si dice, nasce e muore nel tempo. […] Ma non è già nel tempo che tutto nasce e muore: il tempo stesso è questo divenire, nascere e morire.1
Diarios de navegación è un’installazione che affronta simultaneamente il tempo, la memoria e l’identità personale. Pretesti cuciti manualmente a filo in fragili testi condannati a dissolversi fin dalla loro nascita.
Con la sua consueta poetica e leggerezza Pablo Rubio mette in scena la storia drammatica di una scomparsa. Un decadimento costante ed irreversibile di un atto di scrittura prodotto in un arco di tempo determinato: esercizi di matematica, appunti di storia, geografia, grammatica spagnola, bilanci familiari, liste della spesa e note quotidiane. Venti anni è il tempo trascorso tra l’imparare la scrittura, comporre i diari e successivamente dimenticarli. Dimenticarne l’esistenza. Dimenticare di averli scritti. Dimenticare la scrittura stessa.
I quaderni si sciolgono sotto l’incessante azione del tempo. Tutto è destinato a scomparire. L’identità dello scrivente si perderà insieme alla forma della propria scrittura. L’artista e gli spettatori, testimoni della sparizione, scompariranno anch’essi un giorno. Assistiamo di fatto ad una comunicazione tra assenti. Al tentativo degli assenti di aprire un dialogo col tempo. Inutile dal momento che con lui non c’è possibilità dialogo. Il tempo agisce solamente. Incide le identità e le loro memorie che, immerse nel tempo, non dureranno. Perché durano nel tempo «solo le cose che non appartennero al tempo».2
Si ha forte la sensazione che ad un certo punto la scrittura si sia rivoltata contro lo scrivente stesso a sottolineare che lei non è memoria ma solo un suo simulacro come già aveva intuito Socrate. La scrittura non accresce la memoria ma può solo evocarla dal di fuori grazie alla sua natura segnica.3 È qui la tragedia: scrivere con l’intento di ricordare e paradossalmente ottenere il risultato opposto. L’atto di scrittura condanna all’oblio. Qualcosa resterà? Probabilmente solo qualche timida traccia e logori segni: spilli che proietteranno ombre sinistre sul muro, residui di corde e carta straccia per terra. Reliquie d’un’identità dimenticata.
Anche i più bravi archeologi del pensiero saranno impossibilitati a ricostruire l’accaduto. I reperti sono scarsi, le tracce confuse e i segni muti. Significano solo che c’è stato qualcosa di drammatico. Cosa non lo sapremo mai. Sembra la scena di un delitto. Un delitto consumato nel tempo dal tempo stesso. Un delitto crudele che non lascia spazio nemmeno a quella redenzione che Walter Benjamin vedeva proprio nella memoria. Perché il tempo porta solo l’oblio. Magari il tempo, variando leggermente il pensiero di Hegel, è il principio medesimo dell’io=(obl)io.
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1 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, §258
2 Jorge Luis Borges, La rosa profonda
3 Cfr. Platone, Fedro
Cover Photo: Pablo Rubio, Diarios de navegación, dettaglio installazione. © Laurence Guigui