Così, tra moralismo e amoralismo, le parti appaiono curiosamente invertite. La prima — sebbene così ragionevolmente illuminata — incentiva il clima della negatività; la seconda — che pur si presenta vanesia o malvagia — eleva in modo del tutto straordinario i nostri pensieri morali.*
Il cinico contemporaneo è anni luce distante dal cinico antico. Egli è un asociale ma perfettamente integrato. Critico con un sistema in cui, tuttavia, si trova molto a suo agio. Agisce con una negatività lucida che, in fin dei conti, «produce ben misera speranza, un poco d’ironia semmai, e compassione.»* In Tre manifesti a Ebbing, Missouri diretto da Martin McDonagh salutiamo, fortunatamente, il ritorno del vero kynicos, il folle dedito all’antica pratica sfrontatezza. Mildred Hayes (Frances McDormand) incarna Diogene di Sinope. Asociale, amorale, brutale. Ma libera. Siamo alla presenza dell’elogio del politicamente scorretto. Un atteggiamento necessario per sostenere la battaglia contro una società che sembra non vergognarsi di mostrarsi razzista ed omofoba. Una società che deplora la «tortura del negro» ma vede di buon occhio la «tortura dell’uomo di colore». In questo clima ogni atto è un atto di negazione. Sia le azioni di Mildred, sia le azioni della polizia locale. Ma, paradossalmente, ogni negazione produce dei percorsi di redenzione. Come fosse una reazione a catena, la redenzione del capo della polizia Bill Willoughby (Woody Harrelson) innesca quella di Jason Dixon (Sam Rockwell) che infine innesca quella della stessa Mildred. Sembra che la dialettica che si svolge lungo la narrazione sia una vera e propria dialettica hegeliana in cui ogni negazione si rivela essere, nella sua essenza, la negazione di se stessa.
*Peter Sloterdijk, Critica della ragion cinica