Il soggetto amoroso

Discorso: dal latino discursus p.p. di di-scurrere. Correre di qua e di là. Ha assunto il valore figurativo di trascorrere con la parola da una cosa all’altra, favellare ragionando oppure creare un’opera verbale o scritta seguendo le regole dell’arte retorica.

Entrando in galleria la sensazione che ci troviamo di fronte ad un discursus ci assale immediatamente. Avvertiamo con certezza che dovremo affrontare una serie di frammenti di un discorso amoroso¹ lasciati cadere da un “soggetto amoroso” (Violetta Valery) consistenti in immagini, oggetti e linguaggio che a nostra volta dovremo necessariamente interpretare; ciascuno di noi secondo la propria sensibilità.

Violetta Valery, Da piccola facevo disegni colorati (installation view). Courtesy Ingresso Pericoloso.
Violetta Valery, Da piccola facevo disegni colorati (installation view). Courtesy Ingresso Pericoloso.

L’intimità della prima sala ci mette subito a nostro agio. Pochi elementi: un tavolo, una sedia e una valigia. Sono simboli che compongono un topos; lo spazio mentale dell’artista. La vista di questo luogo connette al suo significato: il tavolo come spazio creativo utilizzato per disegnare, la sedia come luogo di riflessione e la valigia per il viaggio. Appunto simboli (aliquid stat pro aliquo) che riconducono a codici convenzionali racchiusi in una semantica facilmente riconoscibile. Alcuni fogli sono adagiati sul piano di lavoro. Il frutto di una attività di pensiero che si traduce in oggetto materiale. Rimarremmo quasi indifferenti alle figure tracciate su queste carte se solo non fossero collegate tra di loro con del ricamo. Una sottile linea rossa che evidenzia una forte connessione proprio tra la traccia e l’immagine che l’ha generata.

Violetta Valery, Pensato (2010), inchiostri e ricami su carta cm 22,5x22,5. Courtesy Ingresso Pericoloso
Violetta Valery, Pensato (2010), inchiostri e ricami su carta cm 22,5×22,5. Courtesy Ingresso Pericoloso

Nella seconda sala il percorso si fa più complesso a causa della contemporanea presenza di linguaggio (testo) ed immagine (fotografia). Attorno a noi notiamo diari su cui sono impressi stralci di vita personale: le relazioni con gli altri, storie d’amore finite male, persone che passano e se ne vanno ma che comunque lasciano qualcosa al “soggetto amoroso”. La tematica è puramente sentimentale. La non razionalità dei contenuti genera confusione, come i canali di comunicazioni scelti per raggiungere il referente del messaggio che, più di ogni altra sala, in questa è estremamente necessario in qualità di interprete dei significati. Affermava Barthes nella Camera chiara:

La fotografia non dice ciò che non è più, ma soltanto e sicuramente ciò che è stato. Davanti a una foto, la coscienza non prende necessariamente la via nostalgica del ricordo ma, per ogni foto esistente al mondo, essa prende la via della certezza: nessuno scritto può darmi questo tipo di certezza. Il non poter autentificarsi da sé è la sventura del linguaggio.²

E poi parlando della scrittura-lettura:

Singolare cosmonauta, eccomi attraversare mondi e mondi, senza fermarmi a nessuno d’essi: il candore della carta, la forma dei segni, la figura delle parole, le regole della lingua, le esigenze del messaggio, la profusione dei sensi che si connettono. E uno stesso infinito viaggio nell’altra direzione, dalla parte di chi scrive: dalla parola scritta potrei risalire alla mano, alla nervatura, al sangue, alla pulsione, alla cultura del corpo, al suo godimento. Da una parte e dall’altra, la scrittura-lettura si dilata all’infinito, impegna l’uomo nella sua interezza, corpo e storia; è un atto panico, del quale la sola definizione certa è che non potrà fermarsi da nessuna parte.³

Si desume quindi da questi due differenti atteggiamenti che l’incontro tra immagine e linguaggio verbale provoca una tensione emotiva sempre in bilico tra certezza ed incertezza. Proprio l’obiettivo dell’artista che entra in un territorio di segni che rimandano ad altri segni in una sequenza infinita di rimandi e significazioni scatenando un processo di semiosi percettiva innescato da stimoli sensoriali. La sala stessa, direbbe Peirce, è oggetto dinamico.

Violetta Valery, Da piccola facevo disegni colorati (installation view). Courtesy Ingresso Pericoloso.
Violetta Valery, Da piccola facevo disegni colorati (installation view). Courtesy Ingresso Pericoloso.

Continuando lungo il percorso espositivo arriviamo infine nella terza sala: lo spazio fisico. Per spazio fisico e tangibile intendiamo il corpo dell’artista, la sua figura. Ci troviamo infatti di fronte ad autoritratti fotografici del proprio corpo o di sezioni di esso. L’unica scelta possibile a rappresentare questo spazio fisico congruamente e coerentemente è tramite l’utilizzo della fotografia tradizionale. La stampa ai sali d’argento consente all’artista di creare una “traccia del reale”, come definita da Philippe Dubois ne L’atto fotografico, in cui posiziona la fotografia tra icona e simbolo prendendo le distanze in special modo da Barthes. Essa è indice in quanto l’impressione dell’immagine sulla carta attraverso la luce garantisce una contiguità fisica con il referente affermandosi come strumento pragmatico  di conoscenza. L’immagine che abbiamo sulla carta fotografica è inscindibile dall’atto che l’ha generata, ne è impronta. Però, d’altra parte, risulta evidente anche che ci troviamo di fronte ad una traduzione di quella immagine. La scelta della foto in bianco e nero e la manomissione in fase di stampa guidate dai modelli culturali dell’artista alterano la contiguità fisica con il reale e pone l’immagine al centro di una riflessione di rapporto con il proprio corpo che lascia spazio  al referente di interrogarsi e di interpretare tali immagini secondo i propri di modelli culturali.

Violetta Valery, Autoritratto (2011), stampa ai sali d'argento cm 20x15. Courtesy Ingresso Pericoloso
Violetta Valery, Autoritratto (2011), stampa ai sali d’argento cm 20×15. Courtesy Ingresso Pericoloso

Concludendo, se Barthes definiva il “soggetto amoroso” come “qualcuno che parla dentro di se, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), che non ne parla“⁴, Violetta Valery assolve in pieno proprio questo ruolo e ne restituisce, grazie all’uso di icone, indici e simboli, un vero e proprio sistema di significazione visiva del discorso amoroso. Per Umberto Eco un sistema di significazione è tale quando l’uso dei codici utilizzati può essere interpretato dal destinatario. Questo sistema di segni, o anche espressione linguistica, Eco lo fa riferire non ad un oggetto presente, ma ad una entità astratta coincidente con un modello culturale. L’attività di Violetta, muovendo i passi proprio in questa direzione, propone un modello culturale (il discorso amoroso) in cui il destinatario della comunicazione non è l’oggetto amato, vero e proprio assente nella mostra, ma il fruitore (i cui codici sono per noi entità astratta) che viene messo così di fronte all’esercizio di una attività riflessiva. La sua mostra per esistere ha bisogno di un referente che interpreti la comunicazione proprio in base ai propri modelli culturali. Ultimo segno da interpretare, ma non certo in ordine di importanza, sarà la reazione dell’artista stessa alla presenza del pubblico. Il suo atteggiamento, la postura del corpo, i sui gesti saranno indici di uno stato d’animo (l’affezione dell’anima aristotelica) e di tutto il percorso concettuale ma anche fisico che l’ha portata a fare un tale gesto di emancipazione (mostrarsi agli altri). I suoi segni, che siano naturali o artificiali, non sono né autoreferenziali né riflessi, ma cercano sempre la relazione schematizzata nel triangolo semiotico: significato – significante – referente.

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¹ Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 1979

² Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, 1980

³ Roland barthes, Variazioni sulla scrittura seguite da Il piacere del testo, Einaudi, 1999

⁴ Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi 1979

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