Perché tornare a riflettere su una mostra dopo tanto tempo?
Alcuni motivi, tutti molto egoistici:
- Per ricordare a me stesso ciò che ho fatto dal momento che ho poca memoria.
- Per parlare con me stesso in estrema solitudine.
- Per compiacermi del paradosso appena formulato.
Il progetto in questione è Writers di Barbara Uccelli. Era perfetto così come mi è stato presentato dalla stessa artista. Qualsiasi intervento da parte mia sarebbe stato dannoso. Mi sono limitato veramente a pochi suggerimenti, ma solo in relazione allo spazio che ovviamente conoscevo meglio di lei. Anche la comunicazione; non ho realmente dovuto stendere un comunicato stampa. Bastava ricalcare passo passo la sua presentazione:
Marina Cvetaeva, Sylvia Plath, Anne Sexton, Virginia Woolf, Sarah Kane. Scrittrici morte suicide. Donne di non comune femminilità e ingegno. Nonché una certa propensione al piacere, al delirio di onnipotenza. Esaudirono il loro desiderio di essere padrone e signore della loro vita almeno un attimo prima che questa sfumasse altrove.
Anime che scavano gallerie dentro di me dicendo: per piacere… ancora un minuto.
Un minuto.
Un video da un minuto per ognuna di loro.
E una foto che sospenda quel minuto per l’eternità.
In realtà qualcosa ho tolto, ma piccoli dettagli. La comunicazione volevo fosse breve ma molto incisiva. Volevo catturare subito l’attenzione, incuriosire, violentare un pubblico che si doveva muovere per partecipare ad un atto drammatico. Il suicidio. Farli entrare in galleria con l’idea di trovarsi di fronte la morte e rimandarli a casa con invece il pensiero di aver assistito ad un elogio della vita. Sì, la vita con tutto quello che contiene.
E fin qui ci siamo, esperimento riuscito visto tutto quello che ne è stato detto e scritto in seguito su questa mostra. Di seguito alcuni commenti:
Si può essere più o meno d’accordo su questa padronanza, ma è innegabile la grandissima dignità delle figure che attraverso la fermezza di sguardo e portamento, lontanissimi da ogni vacuità e disinteresse tipica di alcuni suicidi, la performer restituisce. […] C’è un altro fil rouge che lega le nostre cinque, però non è un filo e non è proprio rosso; sono un paio di scarpe rosa, per donne eccezionali.¹
Sono donne che, fino all’ultimo, mantengono la forza del loro spirito e con coraggio fissano l’obiettivo della macchina fotografica. Donne che l’artista rivive, rimanendo sempre se stessa nella femminile sigla delle scarpe rosa.²
E mentre scorrono i video c’è però una cosa che non può non rimbombare nella testa. E sono i passi. I passi di queste donne che vanno verso il silenzio e che si richiamano da una stanza all’altra, da un video all’altro, come se si cercassero tra le stanze, tra le parole, tra i gesti che non vogliono essere dimenticati. E te li senti risuonare dentro a lungo, quei tacchi, quelle scarpe.³
Basta questo per individuare oggi, a mente fredda, quello che mi ha profondamente colpito di questo progetto. La volontà. Barbara ci apre gli occhi sull’atto di volontà. Volontà dell’essere. Volontà di essere altro, anche nulla, pur di non essere ciò che si vuole essere. Tutta la mostra ruota intorno a questo atto di volontà.
Concludendo sulle ragioni di questo testo e chiedendo umilmente perdono della premessa iniziale devo ammettere che i concetti appena espressi al tempo li affrontai d’istinto. Ora invece sento il bisogno di affrontarli anche dal punto di vista razionale. Forse son cresciuto, ho accumulato più esperienza. Forse so cose nuove. Forse ho cominciato a ricordare e cucire a filo i miei pensieri più disparati. Le note di una vita che tenevo nella mente messe nero su bianco hanno sicuramente più fascino. Ed ora che mi resta?
Un paio di scarpe rosa, naturalmente!
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1- Naima Morelli, recensione per Teknemedia
2 – Daniela Trincia, recensione per Exibart
3 – Elena Dal Forno, recensione per Aftersix