Scatole nere

La soluzione dell’enigma della vita nello spazio e tempo è fuori dello spazio e tempo. (Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus)

In una realtà sempre più veloce ed immediata, nessuno osserva più. Fermarsi a contemplare ciò che ci circonda è divenuto al giorno d’oggi troppo costoso in termini di tempo per l’uomo contemporaneo.

Piuttosto che lasciarsi trasportare dal flusso continuo e veloce della vita contemporanea, Laurence Guigui sceglie, attraverso l’atto fotografico, di resistere. Sceglie di fermarsi ad osservare e catturare tutto ciò che scorre in quel flusso continuo di immagini a noi circostanti che definiamo , appunto, realtà. È, il suo, un atto coraggioso. Un atto di resistenza applicato scatto dopo scatto affinché il suo fotografare, da semplice pratica, si trasformi in « attitudine, maniera d’essere, modo di vivere », come amava affermare Henry Cartier Bresson. A questo aggiungeva anche che le persone capaci di osservare sono rare come quelle capaci di ascoltare. Può sembrare paradossale e bizzarro, ma credo che fotografare richieda, oltre la capacità di osservare, anche la capacità di ascoltare. Se stessi e gli altri.

Infatti le fotografie di Laurence Guigui non sono solo rappresentazioni di istanti. Sono registrazioni di dialoghi di vita. Sono scatole nere dell’esistenza. Sono la sintesi di una dialettica tutta interna all’essere umano. Attraverso la sua espressione fotografica lei concilia il bisogno dell’ascolto dell’altro alla propria esigenza di essere ascoltata. Il suo linguaggio è la sua capacità di fermarsi ad ascoltare il logos — parola, discorso, ragione — della gente, dei luoghi e degli oggetti senza mai interferire. Perché ogni cosa esistente in natura, anche la più piccola, instaura un confronto col mondo che abita. Tutto ciò che si trova in questo mondo attiva un dialogo con ciò che lo circonda. Ed è nello spazio di questo dialogo, tra le domande e le risposte, tra le affermazioni e le negazioni, che Laurence si inserisce con la sua macchina fotografica. Nello spazio interno tra lo scambio del soggetto inquadrato col mondo, pronta ad catturarne l’eco. La stampa ai sali d’argento, o il riversamento di tutte queste relazioni in un supporto digitale, risultano così in definitiva un’opera di vera e propria trascrizione dei dialoghi registrati. Trascrizione fedelissima ed accuratissima poiché non cede mai alla tentazione di interpretare il messaggio. Lo registra e lo rilascia.

Può sembrare semplice ma in realtà questo è un processo faticoso che richiede una sensibilità personale non comune. Richiede la capacità di attendere quell’attimo significativo degno di essere estratto dal reale ordinario per poi essere proiettato altrove. Richiede di sapere abitare la linea di confine fuori dallo spazio e dal tempo che è il vuoto che la separa dal soggetto/oggetto dello scatto fotografico. Lì dove si trova l’ « enigma della vita ».

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